Trovarsi dove si può vincere.
Simona De Silvestro | 4. Febbraio 2022

Trovarsi dove si può vincere.

«Perché non andate a gareggiare con Simona?» Se qualcuno non si fosse rivolto così ai genitori di Simona De Silvestro presso il kartodromo dove già da bambina ha avuto l’occasione di fare dei giri, chissà se alla fine lei, ora 33 anni compiuti, sarebbe mai diventata la prima pilota ufficiale della casa Porsche. Una conversazione sui sogni che diventano realtà.

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Simona, guardando indietro, cosa descriveresti come la più grande soddisfazione nella tua carriera di pilota automobilistica?

Che ho sempre avuto intorno a me persone che mi hanno sostenuto. Cominciando da mio padre: mi ha sempre incoraggiata, è stato anche lui che mi ha trasmesso la mania delle corse.

 

Perché lui stesso gareggiava?

No, perché è il proprietario di un concessionario d’auto ed è sempre stato appassionato di sport automobilistici. Ho sempre potuto guardare la Formula 1 con lui in TV e poi, quando avevo quattro anni, mi ha portato con sé in grembo ad una dimostrazione di kart che ha organizzato lui. Volevo fin da subito guidare da sola, ma naturalmente ero ancora troppo piccola e mi sono messa a fare una grande scenata. I miei genitori mi hanno poi calmata con le parole «Quando sarai grande…». Ho continuato a infastidire i miei genitori fino a quando, finalmente, ho avuto il mio primo mini kart all’età di 6 anni.

 

Chi ha riconosciuto il tuo talento?

Qualcuno al kartodromo ha detto ai miei genitori: «Perché non andate a gareggiare con Simona?». Avevo 7 anni allora. I miei genitori l’hanno fatto davvero, ed è così che ho vinto la mia primissima gara in una giornata terribilmente piovosa.

 

E hai deciso a quella tenera età di diventare pilota automobilistica?

Non subito, perché ero anche piuttosto brava a tennis. Sono sempre stata una ragazza molto sportiva, ma sicuramente mi piacevano molto di più le corse in kart rispetto a giocare a tennis.

Solo all’età di 11 o 12 anni avevo le idee chiare: volevo andare in Formula 1.

 

«I tempi sono incerti, ma l’ispirazione, la creatività e la passione sono ciò che ci lega!»

Simona De Silvestro

Così dal nulla?

Beh sì, bisogna porsi degli obiettivi! Comunque, da quel momento in poi mi sono sentita fortemente determinata. Ero semplicemente entusiasta, così entusiasta che ero pronta a mettere tutto il resto in secondo piano, e bisogna fare così se vuoi avere successo nel mondo degli sport automobilistici.

 

Sei riuscita a entrare in Formula 1?

Ho fatto parte del team Sauber F1 nel 2014 e ho seguito il programma di formazione interna per un anno, ma non sono mai riuscita a correre.

 

Ci sei rimasta male?

Mettiamola così: a quel tempo, non ero felice di come stavano andando le cose per me. Ho fatto le valigie durante il mio secondo anno di scuola superiore e a 17 anni, dopo una stagione nella serie italiana di Formula Renault 2.0, sono andata negli Stati Uniti e ho corso nella Formula BMW.

 

Tutto da sola? Tanto di cappello! Cosa ti ha dato quel drive in più?

Ho visto l’opportunità di avvicinarmi ancora di più al mio sogno. Ho vissuto davvero a fondo l’esperienza con il team EuroInternational per il quale ho potuto gareggiare. Ho anche vissuto con loro. Ero ogni giorno ad aiutare nel negozio per articoli da corsa, anche per abbattere un po’ i costi di vitto e alloggio. Ma la cosa migliore era che potevo muovermi nel mondo delle auto ogni giorno e parlare con gli ingegneri. Ho davvero imparato molto lì. Naturalmente anche l’inglese, ce l’ho fatta in pochissimo tempo.

Non avevi nostalgia di casa?

Tutto era allo stesso tempo nuovo ed entusiasmante. E quando avevo nostalgia di casa, avevo le auto intorno a me e allora mi veniva in mente di nuovo perché ero lì e per cosa lo stavo facendo. La stagione è durata sette mesi, da marzo a settembre, è stato anche un periodo fattibile. L’esperienza mi ha reso più forte perché ho portato avanti la mia «cosa» che mi ero prefissata.

 

Cosa è successo dopo?

Dopo una prova con un’auto IndyCar alla fine del 2009, ho avuto un posto per un anno da HVM Racing nella serie IndyCar per il 2010, che ho concluso con il titolo di «Rookie of the Year». Ho poi gareggiato attivamente nella serie IndyCar negli Stati Uniti per quattro stagioni. Non era la Formula 1, ma ci si avvicinava molto e ho avuto abbastanza successo. Sono stata la terza donna in assoluto a finire sul podio in una corsa IndyCar. Un ottimo risultato. In ogni modo, è stato un duro colpo non riuscire a entrare in F1.

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A causa del fatto che le donne sono svantaggiate negli sport automobilistici?

Non la metterei in questo modo: il fatto è che gli uomini lo fanno e basta, mentre le donne continuano sempre a pensare se devono o non devono farlo. Con me le cose non sono andate diversamente, ma ho colto ogni opportunità che mi è stata offerta per avvicinarmi al mio sogno. Con il tempo, però, mi sono resa conto che non ha molta importanza in quale classe si corre. Bisogna vivere sul momento, non guardare a destra e a sinistra e, soprattutto, trovarsi dove si può vincere. Allora si va avanti automaticamente.

 

Si lamenta sempre il fatto che non ci siano più donne interessate alle professioni tecniche. Perché secondo te? Pensi sia proprio così?

Le giovani ragazze semplicemente non sono esposte sufficientemente alla tecnica. Questo è dovuto a tante cose, certamente ancora a causa di pregiudizi. Se durante l’apprendistato le ragazze vanno da un parrucchiere e in un asilo nido, mentre i ragazzi in un’officina di falegnameria, e a nessuno viene in mente di strutturare queste offerte in modo indipendente dal genere, allora le ragazze finiscono inevitabilmente in quelle che una volta venivano chiamate professioni tipicamente femminili. Questo vale anche al contrario. Dovrebbe essere più scontato il fatto che le ragazze abbiano accesso al mondo della tecnica già da piccole. Non tutte sono fortunate come me e hanno genitori aperti alla tecnica che non pensano due volte ad avvicinare questo mondo a una ragazza. Penso che movimenti come «Girls on Track» siano fantastici, dove le ragazze a partire da otto anni hanno la possibilità di guardare i kart, guidarli e cimentarsi a cambiare gli pneumatici. Ora possono anche avere un assaggio delle corse di Formula E e vedere che ci sono anche ingegneri donne.

 

Hai dei modelli di riferimento?

Non in modo esplicito negli sport automobilistici, ma mi piacciono le persone che portano avanti le cose che si sono prefissate. Serena Williams è una grande figura per me. O Roger Federer. Fare, insistere, non importa quello che dicono gli altri. Perché a volte, letteralmente, la strada non è propria dritta.

 

Esattamente, hai avuto anche incidenti e infortuni: non ti hanno mai allontanata dagli sport automobilistici?

No. Non c’è un piano B per me. Non ancora. In qualche modo si va sempre avanti, sto vivendo il mio sogno, questa è la soddisfazione più grande.

 

Hai anche tenuto in mano il volante in Formula E per un po’ di tempo, vero?

È stata un’esperienza fantastica! Anche se tutti, partendo dal team fino a me stessa, eravamo scettici all’inizio. La Formula E è un’esperienza completamente nuova, il regolamento, le auto, il suono. Ho potuto iniziare con il team di Michael Andretti nel 2015/2016 e sono orgogliosa di essere stata la prima donna nel mondo della Formula E a mettere effettivamente a segno dei punti.

 

Gli sport automobilistici sono molto impegnativi, bisogna allenarsi molto. Cosa fai per stare in forma?

Non sono proprio super motivata, devo ammetterlo. Ho un personal trainer due volte a settimana che esegue con me un programma di allenamento su misura in base alle mie esigenze. Gioco anche a tennis e a golf e mi piace fare escursioni o sciare in montagna. In realtà sono sempre in movimento.

 

E poi, naturalmente, gli impegni come pilota ufficiale della casa Porsche, anche lì certamente non starai ferma…

Per niente! Per ben 25 fine settimana all’anno sono in giro sui circuiti. Faccio parte del team TAG Heuer Porsche Formula E, ma non come pilota. Nella mia prima stagione con Porsche in Formula E sono stata una pilota collaudatrice e addetta allo sviluppo. In questa stagione sono una pilota di riserva, quindi viaggio sempre con tutto il gruppo per qualsiasi evenienza. Un team fantastico, tra l’altro, è molto bello poter lavorare in un ambiente così innovativo.

 

Secondo te, cosa rende Porsche così speciale negli sport automobilistici?

Nel motorismo, Porsche è semplicemente il marchio migliore per poter partecipare. Il team, quello che si prova, l’eredità del mondo automobilistico, le opportunità che si hanno con Porsche: tutto questo non ci viene offerto una seconda volta.

 

Hai detto che non è sempre facile. Come fai a motivarti?

Sono arrivata dove ho sempre voluto essere, nel mondo degli sport automobilistici. Posso fare quello che mi piace fare, e questo da oltre 20 anni. Non ho bisogno di altre motivazioni. Vivo con entusiasmo per le corse automobilistiche, anche se bisogna rinunciare a tante cose…

 

Ad esempio?

Le solite cose quando si è impegnati negli sport di alto livello. Praticamente si vive solo in pista, nei box e nei centri di sviluppo. C’è poco spazio per altre cose, che non siano mantenersi in forma fisicamente e mentalmente.

 

Un prezzo alto da pagare?

No. Sono del tutto soddisfatta di dove mi trovo ora.

Autrice: Dörte Welti